Tra le attività imperdibili in Giappone non bisogna dimenticare l’esperienza di dormire in un Ryokan. La prima volta che ne ho sentito parlare, non avevo la minima idea di cosa potesse essere ed immagino di non essere la sola. L’Asia non mi aveva mai particolarmente stregata e per questo, fino a poco prima del meraviglioso viaggio in Giappone, conoscevo davvero poco. Se sognate il Giappone e vi frullano per la testa molte domande su questa particolare esperienza, siete nel posto giusto. Vale anche se siete solo curiosi!
Cos’è il Ryokan?
Il “ryokan” è un albergo in stile giapponese, rimasto immutato dall’epoca Edo (tra il 1600 e fine 1800). Una delle tipicità in queste strutture è la consuetudine di dormire sui “tatami”, le tradizionali pavimentazioni locali, sui quali poi vengono appoggiati i “futon”, ovvero i materassi per dormire. Per chi non è abituato, l’esperienza con il futon non è certo sinonimo di sonno spensierato. Dormire su superfici così dure non è da tutti, ma vi assicuro che la stanchezza accumulata dal viaggio, aiuta!
Dove si può dormire in un Ryokan?
Sono abbastanza diffusi in tutto il Giappone, ma le città più ricche di storia mantengono le strutture più “autoctone” e sicuramente Kyoto offre le più belle esperienze in quest’ambito. Noi, dopo aver identificato le città che avremmo visitato, abbiamo scelto di provarlo a Takayama, una cittadina nella quale si respira ancora l’antico fascino, tra le case con i tetti spioventi in legno e le distillerie di sake, circondata dalle Alpi Giapponesi.
Quanto costa dormire in un Ryokan?
Come per tutte le cose, anche qui ce n’è per tutte le tasche. Si possono trovare doppie in stile giapponese a partire dai 50 € (pernottamento e colazione) e poi si sale, naturalmente in base alla posizione ed ai servizi inclusi. Il nostro Ryokan a Takayama era situato a pochi passi dal centro e facilmente raggiungibile alla stazione. Abbiamo scelto di provare la cena tipica, servita direttamente in camera ed in totale abbiamo pagato 210 €. Tutti meritati, tranne per la colazione: preferisco di gran lunga quella internazionale!
La mia esperienza
Siamo arrivati nel Ryokan dopo aver trascorso la mattinata allo storico villaggio di Shirikawa-go, arrivando da Kanazawa. L’atmosfera all’ingresso fa capire subito di non essere in un albergo standard.
La prima cosa da fare è togliersi le scarpe. Proprio così, chiunque entri nei ryokan deve indossare le tradizionali ciabatte in legno che toglierà poi all’ingresso in camera. Sapere l’inglese o altre lingue europee qui poco aiuta, ma con spirito di adattamento e, soprattutto di viaggio, ci si capisce abbastanza.
Dopo il check-in, una ragazza accompagna gli ospiti nella loro stanza. Invita a lasciare le ciabatte alla porta e vi darà il benvenuto, invitandovi ad indossare la Yukata, ovvero una sorta di vestaglia/kimono di cotone per muoversi all’interno dell’albergo, come per andare al bagno (se è fuori) o alla stanza della colazione.
Continuavo a guardarmi intorno: è una stanza così diversa da quelle a cui siamo abituati! Avremmo voluto chiedere molte cose alla ragazza, ma ahimé non parlava e non capiva minimamente l’inglese e si aiutava con un traduttore dal suo smartphone. Il letto non era presente, ma nella stanza c’era un tavolino con tutto il necessario per la preparazione di un ottimo tè verde e, più tardi, abbiamo cenato. I giapponesi sono quasi tutti mingherlini e di bassa statura, quindi riescono facilmente ad accomodarsi su quei tavolini, ma non è così semplice per tutti.
Dopo esserci sistemati e rinfrescati, siamo usciti alla scoperta di Takayama e al nostro ritorno, la ragazza è tornata in camera con noi per prepararci il letto ed augurarci la buonanotte. La notte è trascorsa senza alcun intoppo ed il giorno dopo, lasciare il Ryokan per proseguire il nostro tour, ci ha lasciato un velo di tristezza. E’ stata l’esperienza più autentica di quel viaggio, che ci ha permesso di conoscere più da vicino le tradizioni di un Paese incredibile: frenetico e innovatore per moltissimi aspetti, ma al tempo stesso lento e conservatore.
A presto, Giappone.